Lattuga selvatica

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La lattuga selvatica (o lattuga velenosa) è una variante della classica lattuga da insalata. Fa parte della famiglia delle Asteracee, le  progenitrici della lattuga moderna, e appartiene ad un gruppo che racchiude tre specie differenti: Lactuca Virosa, Lactuca Canadenis e Lactuca Serriola.

Tutte e tre le specie sono usate in cucina da millenni e sono note per i loro composti dagli effetti psicoattivi.

La lattuga selvatica è una pianta biennale che può crescere fino a 2 metri di altezza. Predilige terreni smossi e cresce spesso lungo le scarpate stradali, nei fossi o lungo i sentieri.

La lattuga selvatica è una pianta molto robusta, con gambo e foglie dalle tinte violacee e fiori che spuntano da luglio a fine settembre.

La lattuga selvatica, giudicata in passato come l’ oppio dei poveri, è stata largamente utilizzata come blando sedativo dalle proprietà ipnotiche e rilassanti sotto forma di estratto o di tintura.

Grazie alle ricerche dell’italiano Giorgio Samorini, editore del giornale Eleusis del Museo Civico di Rovereto, abbiamo a disposizione qualche informazione sull’utilizzo di questa pianta nel corso della storia antica.

La lattuga selvatica nella storia

Gli effetti della lattuga selvatica sono noti sin dall’ antico Egitto: era la pianta associata alla dea della fertilità Min ed era utilizzata sia a scopo sedativo sia come afrodisiaco estraendo il lattice biancastro che sgorga spontaneamente dopo aver praticato un’incisione sul fusto della pianta.

Gli effetti della lattuga selvatica erano noti anche ai Romani e ai Greci: attorno al 430 a.C., Ippocrate ne descrisse le proprietà sedative associando i suoi effetti al ben più raro, potente e costoso oppio.

A Roma invece Dioscoride Pedanio, naturalista e chirurgo spesso al seguito nelle campagne militari di Nerone attorno al I° secolo a.C., descrive le immagini allucinatorie e i sogni indotti dall’ utilizzo del lattice di lattuga velenosa.

Plinio il Vecchio fa lo stesso, soffermandosi particolarmente sulle proprietà sedative della pianta nella sua Naturalis Historia, descrivendo la lattuga selvatica in questo modo: “provoca sonnolenza, può raffreddare gli appetiti sessuali, purgare lo stomaco e aumentare il volume del sangue”.

Lattuga selvatica

Compiendo un balzo avanti nel tempo, la lattuga selvatica fu utilizzata fino al XIX secolo come sostituto dell’ oppio e studiata con attenzione dal Concilio della Società Farmaceutica della Gran Bretagna nel 1911.

I biologi britannici riuscirono ad identificare con precisione le sostanze responsabili degli effetti psicoattivi di questa pianta: la lactucopicrina e la lactucina. Negli anni ’70, la lattuga velenosa venne utilizzata in ambiente hippy come sostituto della marijuana e degli oppiacei.

Gli effetti della lattuga selvatica

La lattuga selvatica ha un duplice effetto che varia in base alla dose assunta: fino ad un grammo di principio attivo, agisce come soppressore del dolore e calmante; a dosi più elevate, iniziano a fare effetto le sostanze simil-alcaloidi della pianta, inducendo stati di euforia e rilassatezza simili per certi versi a quelli della marijuana o dell’ oppio.

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La lattuga selvatica non causa assuefazione e non provoca overdose, anche se il consumo eccessivo può portare ad effetti collaterali sgradevoli.

Preparazione tradizionale della lattuga selvatica

Come veniva preparata in passato questa pianta per un utilizzo medicinale? Nel corso dei secoli nacquero diversi metodi di somministrazione:

  • Infusi e tisane prodotti dalle foglie, soprattutto quelle esterne, che pare contengano più lattice;
  • Essiccazione delle foglie e utilizzo in una mistura da fumare (come usavano gli Hopi);
  • Estrazione ed essiccazione del lattice da mescolare successivamente a bevande o pietanze.

I primi due metodi di preparazione sono abbastanza semplici e non richiedono molte spiegazioni. Per quanto riguarda invece l’estrazione del lattice, si può procedere in due modi differenti:

lattice Lattuga selvatica

Estrazione del lattice dalla pianta viva

Tramite questa procedura semplice e collaudata per l’estrazione di molti altri tipi di lattice, è possibile preservare la pianta integra per un successivo riutilizzo.

La procedura consiste nell’ incidere il fusto con un oggetto tagliente e raccogliere il lattice biancastro che fuoriesce dalla pianta nel corso di qualche ora posizionando un contenitore appena sotto l’incisione, un procedimento molto simile a quello utilizzato per l’ estrazione della gomma naturale.

Estrazione del lattice per immersione

Questa procedura richiede l’estirpazione dell’intera pianta, che verrà messa in acqua per almeno 24 ore per rilasciare le sostanze sedative che contiene. La lactucopicrina e la lactucina sono infatti quasi totalmente solubili in acqua, solubilità che consente di ottenere un “infuso a freddo” di acqua e principi attivi.

Una volta che l’acqua avrà assunto un colore marrone scuro, occorrerà filtrare il liquido dalle parti macerate della pianta e lasciare evaporare la mistura fino ad ottenere una polvere marrone lucente (il lattice, esposto all’aria, assume una colorazione bruno-scuro).

E’ possibile forzare l’evaporazione con l’ ebollizione, ma si corre il rischio di far deteriorare i cristalli di lattice esponendoli ad una fiamma viva o a temperature troppo elevate.


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