Miele: raccolta e produzione nell’antichità

miele e api
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Il miele può essere considerato il primo vero “dessert” della storia e le testimonianze sul suo utilizzo da parte dei nostri antenati sono antichissime: le più antiche pitture rupestri che testimoniano la raccolta del miele risalgono almeno al 6.000 a.C.

L’abbondanza di zuccheri e il suo potere dolcificante rende miele un prodotto di grande valore per le comunità di cacciatori-raccoglitori antiche e moderne o per qualunque civiltà della storia che non utilizzava o conosceva lo zucchero.

Il miele è composto per l’80% da zuccheri, principalmente glucosio e fruttosio, e per il restante 20% da acqua. Il suo aroma, il colore, il sapore e la composizione chimica sono caratteristiche strettamente connesse ai fiori che le api hanno visitato per produrlo. Il miele, oltre che per uso alimentare, viene anche utilizzato nella medicina tradizionale per aiutare la guarigione di ferite o bruciature e curare la tosse cronica o acuta.

Come le api producono il miele

Il miele è prodotto dalle 7 specie conosciute di api mellifere (non tutte le specie di api raccolgono nettare), come quelle appartenenti alla specie Apis mellifera, probabilmente la più impiegata commercialmente per la sua docilità e la consistente produzione di miele: la specie conta circa 30 sottospecie che comprendono l’ape mellifera italiana (Apis mellifera ligustica) e l’ape scura europea (Apis mellifera mellifera).

Le api di questa specie consumano il nettare dei fiori per produrre energia per il volo e per la raccolta di polline, trasportando all’ alveare ciò che non riescono a consumare per immagazzinarlo come cibo a lunga scadenza.

Raggiunta la sicurezza della colonia, le api ingeriscono e rigurgitano ripetutamente il nettare fino ad ottenere una sostanza parzialmente digerita dagli enzimi e dai succhi gastrici del loro stomaco.

Il processo di ingestione ed espulsione del nettare può durate anche 20 minuti. Quando il nettare ha raggiunto il giusto stato di digestione viene espulso definitivamente, immagazzinato all’interno di celle di cera e periodicamente ventilato dalle ali delle api per far evaporare l’acqua in eccesso (il miele passa dal 20% al 18% di acqua durante la conservazione nella cera), prevenire la fermentazione e aumentare la concentrazione di zuccheri. Le celle vengono infine sigillate con altra cera per preservare intatte le qualità del miele e proteggerlo dall’aggressione di muffe e parassiti.

Indicatore golanera (Indicator Indicator), un uccello sfruttato da secoli per localizzare un alveare selvatico
Indicatore golanera (Indicator Indicator), un uccello sfruttato da secoli per localizzare un alveare selvatico
La raccolta del miele selvatico

La ricerca e la raccolta del miele (spesso definita “caccia al miele”) sono attività che risalgono ad almeno 10 millenni fa. Le pitture rupestri spagnole di Cuevas de la Arana, risalenti al 9.000 a.C. circa, raffigurano la caccia al miele e le prime “arnie” naturali sfruttate dai cacciatori-raccoglitori della regione per l’ approvvigionamento di miele selvatico.

Le api mellifere europee prediligono la nidificazione all’interno di nicchie della roccia o alberi cavi e le “arnie” raffigurate nelle pitture rupestri spagnole rappresentano proprio questi incavi naturali sulle pareti rocciose impiegati dalle api selvatiche per la costruzione dei loro alveari.

In Africa, le antiche comunità tribali localizzavano un alveare selvatico seguendo l’ Indicatore golanera (Indicator Indicator), un uccello che funge da guida verso il miele per uomini e animali. Questa relazione di scambio reciproco sembra sia nata da un’antica collaborazione tra uomo e uccello: l’essere umano ottiene miele grazie alle indicazioni fornite dal volatile, mentre l’ Indicatore golanera può fare incetta di api, larve e cera.

Prima del suo pasto, l’ Indicatore golanera deve però attendere che l’essere umano apra l’alveare esponendone l’interno mentre uno sciame di api inferocite cerca di difendere la regina e le larve.

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Procedendo per tentativi e fallimenti, i nostri antenati impararono che il fumo sembrava rendere le api scoordinate nella loro risposta all’aggressione, oltre che più mansuete. Quando le api si accorgono di un’intrusione nell’ alveare iniziano ad emettere un particolare feromone che innesca una risposta automatica nei membri della colonia, costringendoli ad attaccare l’intruso.

Il fumo tuttavia maschera la presenza del feromone e circoscrive il numero di api che reagiscono al richiamo d’allarme, dando l’impressione al resto della colonia che non stia succedendo nulla di grave. L’effetto del fumo svanisce in 10-20 minuti, dando tempo al cacciatore di raccogliere tutto il miele necessario.

Il fumo ha un’altro effetto: quando raggiunge l’alveare, le api sono indotte a pensare che l’alveare possa essere minacciato da un incendio. Il rischio di un incendio boschivo le convince ad abbandonare l’alveare per trovare una nuova località in cui insediarsi, non prima di aver accumulato tutto il miele possibile nei loro corpi per fornire energia alla nuova comunità. L’aver ingurgitato così tanto miele rende le api letargiche e lente nei riflessi, spesso troppo lente per attaccare un aggressore.

miele api selvatiche

L’invenzione dell’arnia

Nella sua fase primitiva l’essere umano si è limitato a prelevare miele e cera dagli alveari selvatici, spesso distruggendoli e costringendo le api selvatiche ad un duro lavoro di ricostruzione. Questo metodo di raccolta non aveva grossi impatti ambientali nel caso di società di cacciatori-raccoglitori, dato che il miele veniva consumato raramente e c’era un’ampia disponibilità di alveari selvatici.

Con l’insorgere di uno stile di vita sedentario, la distruzione anche solo parziale di un alveare iniziò a costituire un grosso problema: le api non hanno più una casa in cui accumulare miele e sono costrette a spendere buona parte del loro tempo a ricostruire l’alveare e non a raccogliere nettare.

Parallelamente ai metodi invasivi per raccolta del miele in uso per millenni iniziarono a sorgere i primi sistemi d’allevamento con arnia, capaci di produrre miele in modo costante e senza eccessivo sforzo da parte dell’essere umano.

E’ difficile stabilire un’origine certa dell’allevamento con arnie, ma abbiamo le prove archeologiche che si tratta di un’attività vecchia di almeno 3-4.000 anni. Nell’antica città di Tel Rehov in Palestina sono state trovate 30 arnie utilizzate per la produzione di miele circa 2.900 anni fa: le arnie erano state realizzate con paglia e argilla cruda ed erano organizzate in file che lascerebbero pensare alla presenza di un totale di 150 arnie all’interno del complesso.

Sappiamo inoltre che almeno 4.500 anni fa l’estrazione di miele selvatico era ancora un’attività fiorente nell’ antico Egitto: le iscrizioni del tempio solare di Nyuserra Ini, faraone della V dinastia, riporta i dettagli sulla raccolta del miele selvatico tramite l’impiego del fumo.

Qualche secolo più tardi, nel 650 a.C., nella tomba di Pabasa fanno la loro comparsa alveari artificiali di forma cilindrica e appositi contenitori per la conservazione del miele.

Arnia medievale
Arnia medievale

In periodo romano e successivamente nel Medioevo furono ideati alcuni metodi di allevamento parzialmente “rinnovabili” impiegati ancora oggi per la produzione di miele nelle comunità non industrializzate: uno di questi era l’utilizzo di assi di legno parallele, coperte da covoni di paglia o fieno, in cui le api potevano facilmente costruire le impalcature di cera per ospitare il miele al riparo dagli agenti esterni.

Un altro sistema era quello di utilizzare come arnia un tronco cavo (naturalmente o  artificialmente) chiamato “vaso” o cesti di vimini conici dotati piccole aperture che permettessero alle api di entrare e uscire a piacimento dall’arnia.

Le arnie di questo tipo non consentivano di mantenere l’alveare totalmente intatto dopo il prelievo stagionale del miele. L’assenza di una struttura interna che guidasse l’opera costruttiva delle api generava alveari dalla forma irregolare e dalle celle disposte a grappolo.

Le arnie di concezione moderna (ideate verso la fine del XVIII secolo) sono invece strutturate a livelli permettendo la costruzione di piani “monodimensionali” di celle (un solo strato di celle per livello), facilitando l’estrazione del miele e limitando l’opera distruttiva del prelievo.
Il miele prodotto dalle antiche arnie poco strutturate era estratto per spremitura: l’intero alveare veniva posizionato in una pressa e schiacciato per separare la cera dal miele.

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Fino all’avvento della produzione commerciale di miele secondo metodi moderni, tutti i metodi di allevamento richiedevano la cattura di uno sciame di api selvatiche, cosa per nulla semplice se non si conoscono le dinamiche sociali e gerarchiche delle api.

L’importanza dell’ ape regina

Le api vivono in una società matriarcale che ha al suo vertice l’ ape regina (l’unica femmina fertile dello sciame) e fino a centinaia di migliaia di operaie sterili addette alla cura della regina e dell’alveare (i maschi appaiono nella colonia esclusivamente tra aprile e giugno in Europa).

Il solo scopo della regina è quello di deporre uova e coordinare la colonia: non dispone di alcun apparato per la raccolta del nettare e ha un metabolismo più elevato delle altre api, quindi consuma più cibo e dipende interamente  dalle operaie per il suo fabbisogno di nutrienti quotidiani.

ape regina
Ape regina

Se durante la cattura di uno sciame d’ api non si intrappola anche la regina, le operaie lasceranno il nuovo alveare per raggiungerla. L’atto della cattura è relativamente semplice: se si avvista uno sciame (di solito localizzando una grossa “palla” di api appesa ad un albero, o osservando un flusso più o meno costante di api provenire dal tronco di un albero), occorre farlo cadere in un contenitore come uno scatolone di cartone o un cesto di vimini per poi rovesciarlo a terra, mantenendo il contenitore sollevato di qualche centimetro dal terreno per consentire alle api in cerca di nettare di tornare nella colonia prima del tramonto.

Questa sistemazione temporanea dello sciame eviterà che le api lontane dalla regina si perdano sulla via del ritorno e vi permetterà di verificare che la regina, più grande rispetto al resto delle operaie, si trovi all’interno dello sciame.

Per trasferire le api all’interno di un’arnia artificiale, sia essa un covone di paglia, un cesto di vimini intrecciato o un’arnia moderna, è sufficiente stendere un telo bianco dallo scatolone all’arnia: presto le api inizieranno a camminare fino all’alveare artificiale che avete preparato per loro.

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